Il Grande Padre di questa Terra - la riflessione di mons. Cevolotto su Scalabrini

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Il vescovo Scalabrini riuscì ad aprire strade nuove: dall’emigrazione al contesto socio-politico italiano alla vita pastorale della diocesi. Al presidente americano Roosevelt spiegò che l’immigrazione è una risorsa straordinaria

La canonizzazione del beato Giovanni Battista Scalabrini è un momento di grazia per la Chiesa universale, per le famiglie scalabriniane e per la nostra diocesi. Sicuramente lo è per me, perché mi sta offrendo la opportunità di scoprire la grandezza di questo mio santo predecessore. L’attualità delle sue scelte e delle sue parole confermano che nella santità viene sviluppata l’intelligenza spirituale, che è la capacità di entrare in profondità nel tempo che si vive e nelle dinamiche umane. Sotto l’azione dello Spirito Santo. Il risultato sono decisioni che durano nel tempo, valutazioni che mantengono un’attualità sorprendente. Di fronte al fenomeno drammatico dell’emigrazione, alla sua reazione emotiva di fronte alle scene a cui assiste alla stazione di Milano, segue la volontà di capire e di interpretare cosa c’è in gioco, che lo porta ad agire. Non si limita ad osservare alla finestra, si mette in viaggio anche lui. Due viaggi oltreoceano, in condizioni per nulla agevoli, insieme a questa marea di “figli della miseria e del lavoro”.

EMIGRARE È UN DIRITTO NATURALE

Non era affatto scontato (allora, come oggi) affermare che emigrare è un diritto naturale e che va considerato come il “dilagare placido delle acque che fecondano”. Non era comune sostenere che i migranti non possono essere considerati unicamente come oggetto di compassione, di aiuto, ma che sono soggetti attivi di sviluppo economico e culturale. Soggetti attivi di evangelizzazione. Come pure denunciare che chi è spinto a partire e a lasciare il proprio “mondo” diventa vulnerabile e facilmente in balìa dello sfruttamento. Costoro rimangono soggetti di diritti, a cui, aggiungiamo noi, corrispondono dei doveri “politici e sociali”, prima di tutto da parte di chi li accoglie. Temi di oggi. Eppure pronunciati con forza oltre cento anni fa. Ciò è possibile perché da pastore lo Scalabrini guarda il fenomeno migratorio dal porto di partenza e non dalle banchine di arrivo. Questo fa la differenza. Ieri come oggi. Ed è interessante cosa scrive a papa Leone XIII dopo aver incontrato il presidente degli Stati Uniti: “L’incontro è stato utile, non perché gli americani abbiano capito me. Ma perché io ho capito loro. Nessuno per ora si rende conto che l’immigrazione è una risorsa straordinaria”. Per individuare risposte adeguate è stato necessario capire anche a chi doveva parlare.

USCIRE DALTEMPIO

C’è un fenomeno non meno drammatico che lo Scalabrini si trova a vivere con la Chiesa del suo tempo. Vale a dire il rapporto con il contesto culturale e politico che è tutt’altro che benevolo. Percepito come ostile o almeno refrattario. Sono diverse le cause storiche e culturali che alimentavano una reciproca diffidenza. Alla chiusura e all’atteggiamento di difesa si unisce lo sguardo screditante. Mons. Scalabrini è tra coloro che accettano la sfida di un tempo che presenta più incognite che prospettive. Non è in alcun modo rinunciatario, ma ciò che scrive ai suoi sacerdoti sintetizza l’atteggiamento, la postura che quella stagione chiedeva di prendere: “mettersi in ginocchio davanti al mondo per implorare come una grazia il permesso di fargli del bene, ecco l’unica ambizione del prete”. Rispetto alla tentazione di chiusura vale poi la frase spesso citata: “dobbiamo uscire dal tempio, se vogliamo esercitare un’azione salutare nel tempio!”. Discrezione e passione, consapevolezza di possedere un tesoro per tutti, ma anche necessità di uscire per ritrovare. È la sintesi di un atteggiamento mite che dispone all’incontro e alla relazione. Ancora una volta manifesta la sua attitudine a porre attenzione al soggetto che gli sta davanti.

SEMPRE “IN USCITA”

L’intensa attività pastorale del vescovo Scalabrini, in contesti tutt’altro che agevoli, lo porta ad andare in modo instancabile presso le comunità, le persone per cogliere le condizioni, per poterle affrontare correttamente. Un pastore esemplare dell’essere “in uscita”. Le distanze rendono la comunicazione particolarmente faticosa. Non solo in uscita, dal Vescovo alle comunità e ai sacerdoti, ma anche in entrata, dalle periferie al centro diocesi. Se la Chiesa non può abbandonare il popolo che parte e affronta l’incognito, non da meno lo può fare con chi rimane. La sua apertura verso i migranti non limita la cura pastorale in diocesi. La stessa vicinanza la cerca e la vive qui, con le sue cinque visite pastorali. E con una sesta che non potrà iniziare. La medesima passione che gli fa percorrere strade e sentieri a cavallo di mulo, lo fa imbarcare per superare ben altre distanze.

Il vescovo Scalabrini affronta altri viaggi ideali che gli permettono di aprire strade nuove, ad esempio nell’iniziazione cristiana, promuovendo il primo congresso catechistico nazionale. È una grande lezione la sua: le questioni hanno in sé stesse dei percorsi da aprire. L’intelligenza della fede le intravede e la passione pastorale le affronta, con coraggio. Le notizie biografiche ci rivelano il cuore di questo santo pastore: il suo radicamento nella vita di preghiera, nella relazione con l’eucaristia celebrata e adorata, in un affidamento tutto speciale a Maria. È proprio qui che attinge la forza per dare gambe, mente e cuore ai segni che solo un “uomo di Dio” riconosce come segni del Regno di Dio. Di sicuro un uomo dotato di acuta intelligenza e di preparazione, ma illuminato dalla passione evangelica per il tempo che gli è stato chiesto di abitare e di servire.

Adriano Cevolotto,

vescovo di Piacenza-Bobbio

 

Nell'immagine sopra il vescovo mons. Cevolotto in preghiera di fronte all’urna di mons. Scalabrini.

(foto Pagani)

 

Dal numero speciale de Il Nuovo Giornale Piacenza, la città di Scalabrini del 19 ottobre 2022

 

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