Scalabrini: una vita dedicata a Piacenza. La figura del vescovo descritta da Davide Maloberti, direttore de "Il Nuovo Giornale"
Dal suo arrivo in diocesi nel febbraio 1876, si tuffa a capofitto in ogni questione
La famiglia perfetta non esiste. Lo dimostra la vicenda del vescovo Giovanni Battista Scalabrini, nato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco, a pochi chilometri da Como. È il terzo figlio di Luigi Scalabrini e Colomba Trombetta. I dissesti finanziari dei suoi primi due fratelli, Antonio e Giuseppe, e la partenza per l’Argentina di quest’ultimo, morto poi nell’Oceano Pacifico al largo del Perù durante un naufragio, avevano sconvolto non poco la sua vita di giovane prete.
ALLA MADRE DEDICA IL SUO PRIMO CATECHISMO
Il padre Luigi gestiva un piccolo negozio di vini nella piazza del paese; muore il 4 settembre 1876, pochi mesi dopo l’ingresso del figlio Giovanni Battista come vescovo a Piacenza. Giovanni Battista era molto legato a sua madre; le dedica la sua prima opera, “Il Piccolo Catechismo”, sottolineandone le qualità: “modello alle donne cattoliche, a tutti ma ai più poveri carissima”. Era lei tra le mura di casa a scandire il tempo della preghiera, in particolare del rosario. L’affetto che lo lega alla madre è grande. In una lettera del 1901, a 36 anni dalla morte di quest’ultima, avvenuta il 4 maggio 1865, scrive: “Oggi ho l’animo ricolmo di tristezza. È il 36° anniversario della morte della santa mia madre”: Anche i santi piangono e soffrono, è il caso di dirlo. Questa è la nostra umanità in cui Cristo è entrato.
A UN ANNO VIENE CRESIMATO
Scalabrini viene battezzato il giorno della nascita e cresimato poco dopo aver compiuto un anno sempre nella chiesa di Fino Mornasco. Studia al liceo Volta e a 18 anni inizia il percorso verso il sacerdozio. Viene ordinato il 30 maggio 1863. Sono anni di tensione tra il nascente Stato italiano e la Chiesa. Appena prete, manifesta il desiderio di entrare nel Pime per partire missionario, ma il vescovo Marzorati non gli permette di partire; ha altri progetti per lui e lo nomina vicerettore e insegnante in Seminario. Il suo compito è svecchiare l’ambiente che formava i futuri preti; non può essere un luogo in cui si studia solo a memoria e “si disimpara a pensare”. Scalabrini in quegli anni non rimane comunque ostaggio della scuola. Il 6 ottobre 1868 viene nominato rettore del Seminario ed è ben consapevole delle sue responsabilità: “l’avvenire della diocesi è in mia mano". È allora che nasce l’amicizia con mons. Geremia Bonomelli, di sette anni più vecchio di lui, a quel tempo prevosto di Lovere, poi vescovo a Cremona, e chiamato a predicare gli esercizi spirituali ai seminaristi di Como. “Vederci, parlarci e sentirci tosto stretti da intima amicizia fu una cosa sola”, scriverà Bonomelli nel 1906. Il 17 luglio 1870 Scalabrini entra come parroco a San Bartolomeo nella periferia della città. La preoccupazione educativa da sempre lo accompagna. Su incarico del Vescovo si mette al lavoro per rinnovare il progetto del catechismo in diocesi.
DON BOSCO LO SEGNALA AL PAPA
Sono del 1872 le sue conferenze dedicate al Concilio Vaticano I che aveva definito il dogma dell’infallibilità quando il Pontefice parla “ex cathedra”. Il tema era di per sé divisivo: decine di vescovi avevano dichiarato che avrebbero lasciato l’assemblea in corso a Roma se il dogma fosse stato approvato. Il dogma passa, ma loro non se ne vanno. Scalabrini si fa sostenitore di una linea aperta al confronto nella fedele obbedienza alla Chiesa. Il Papa - sottolinea nei suoi interventi - non è infallibile in argomenti di scienza o arti profane, ma lo è in materia di fede quando resta unito alla fede della Chiesa. La sua non è “la fede solitaria del Capo separato dalle membra”. Nel ’73 le sue conferenze vengono date alle stampe. Scalabrini viene così conosciuto in tutta Italia e segnalato a Pio IX - anche dallo stesso don Bosco - per la nomina a vescovo. Il 13 dicembre 1875 lo sceglierà come Vescovo di Piacenza.
VESCOVO A 36 ANNI
Il 28 gennaio 1876 Scalabrini è a Roma per incontrare il Papa; due giorni dopo viene ordinato vescovo nella cappella di Propaganda Fide. Non si è spenta in lui la vocazione missionaria. Appena ordinato, va a pregare sulla tomba di Pietro chiedendo - scriverà lui stesso vent’anni più tardi - di “sacrificarmi pel bene del gregge affidatomi”. La sua prima Lettera pastorale - la prima di 72 - porta la data del 30 gennaio: "non ricuserò fatiche per farmi padre degli infelici, precettore agli ignoranti, rettore ai sacerdoti, pastore a tutti, onde, così fatto tutto a tutti possa guadagnare tutti quanti a Cristo”. La sua scommessa è una sola: “evangelizzare i poveri”.
ARRIVA A PIACENZA IN TRENO
Il 13 febbraio entra in diocesi. Passa la notte precedente ospite del parroco di Codogno; il mattino in treno arriva a Piacenza. La prima impressione è ottima: Scalabrini predica con la sua voce robusta; i suoi predecessori, spesso di salute malferma, non predicavano quasi più. L’accoglie una diocesi vasta, di 241mila abitanti e 364 parrocchie. I sacerdoti diocesani sono 735 e nel 1900 salgono a 900.
CHIESA GRANDE, PROBLEMI PICCOLI
La Chiesa è universale ma i problemi, spesso, sono piccoli (non per chi li vive, però). Uno dei primi provvedimenti di Scalabrini è di appianare una vertenza economica fra canonici anziani e canonici di nomina recente in Cattedrale. Il nuovo Vescovo porta subito scompiglio in città. Visita gli asili cattolici, le carceri e le scuole pubbliche, cosa, quest’ultima, che al mondo laico, in clima di scontro tra Stato e Chiesa, non sembra opportuna. Il 24 aprile 1877 Scalabrini riceve l’exequatur, cioè il riconoscimento del suo insediamento da parte dello Stato italiano dopo la sua richiesta avanzata l’anno prima. Un passo avanti per un clima più disteso. I limiti della vita pastorale di quegli anni sono comuni a tutta l’Italia: scarsa formazione intellettuale e spirituale dei sacerdoti, che appare evidente nel distacco tra clero e popolo; mancanza di formazione spirituale della gente e impostazione “difensiva” della pastorale.
LA RIFORMA SCALABRINI
Scalabrini punta sulla riforma dei Seminari, il ripensamento del catechismo, il rinnovamento della spiritualità e della vita dei sacerdoti, la Visita pastorale (ne farà in tutto cinque). Nella sua relazione per la Visita ad limina nell’autunno 1876, Scalabrini sottolinea una grande verità: “la santità del popolo dipende dalla santità dei sacerdoti”. Scrivendo ai preti, li invita a superare “pigrizia e trascuratezza” e a rimettere in piedi nelle loro parrocchie le Compagnie e le Scuole di Dottrina Cristiana “abbandonate quasi da tutti”. Sono molti gli ordini religiosi presenti allora a Piacenza. Scalabrini vede crescere le Figlie di Sant’Anna fondate nel 1866 da Rosa Gattorno che si dedicano ai più poveri e accoglie alcune ragazze sordomute. È l’inizio del progetto di un Istituto per Sordomute, voluto da Scalabrini. È solo una delle sue tante iniziative di carità da parte del Vescovo a favore chi è in situazione di necessità. Nei momenti di particolare bisogno arriva a vendere addirittura la croce pettorale, il calice donatogli dal Papa, la carrozza, i cavalli e anche capi del suo guardaroba personale. Mentre Scalabrini pensa la riforma catechistica, scatta in città la contestazione al Vescovo dettata dalla questione dell’insegnamento della religione a scuola. La legge Coppino del 1877 lascia il problema nelle mani del Consiglio comunale che si pronuncia per il mantenimento dell’istruzione religiosa (20 contro 11) ma non pochi vogliono eliminare quella voce di spesa. La sera del 7 gennaio 1878 - racconta il giornale “Il Progresso” - va in scena al Teatro Municipale la protesta. Dai palchi di quart’ordine vengono lanciati biglietti con la scritta “Non vogliamo più Scalabrini!” e “Fuori i Gesuiti!”. La platea conferma: “Abbasso Scalabrini!”. Ma l’uomo di Dio continua i suoi passi con decisione e giunge a organizzare a Piacenza dal 24 al 26 settembre 1889 il primo Congresso catechistico nazionale al Seminario Urbano con 400 partecipanti, fra cui 118 Vescovi. Piacenza diventa la capitale del catechismo e il suo Vescovo, come lo chiamerà Pio IX, l’Apostolo del catechismo.
IL 12% DEI PIACENTINI È EMIGRATO
La sua preoccupazione è dare nuovo impulso alla vita cristiana: organizza missioni popolari, fa rilievi statistici su sordi, muti, ciechi, emigranti. Su un totale di circa 241mila abitanti, gli emigranti risultano 28mila, quasi il 12% dell’intera popolazione. Scalabrini non si limita a prendere semplicemente atto della drammatica cifra. Va delineandosi così la sua vocazione nella vocazione, quella di “Apostolo degli emigranti”. Nell’opuscolo “L’emigrazione italiana in America” del 1887 racconta il suo sconvolgente impatto alla stazione ferroviaria di Milano col dramma dell’emigrazione. Si tratta di uno di quei tipici appuntamenti della Provvidenza, destinati a cambiare la vita delle persone. Scalabrini non ce la fa a far finta di niente. O emigrare o rubare: è il dilemma di tanti padri di famiglia che preferiscono i rischi dell’emigrazione ad un futuro senza speranza. Scalabrini studia il problema, interpella le istituzioni civili ed ecclesiali, non vuole che chi parte sia vittima dei trafficanti che lui chiama “sensali di carne umana”. Mentre combatte gli aspetti degradanti di questo gigantesco fenomeno, capisce che la questione migratoria, in una visione cristiana della storia, può condurre all’unificazione del genere umano in Cristo. Per Scalabrini l’emigrazione, con il rimescolamento dei popoli che comporta, offre un’occasione di unità tra gli uomini e un’opportunità di evangelizzazione non indifferente per portare nel mondo Gesù Cristo. Da qui, la sua intuizione: “Fare patria dell’uomo il mondo”. La risposta di Scalabrini non si fa attendere. Il 28 novembre 1887 nella basilica di Sant’Antonino riceve il giuramento dei primi due missionari. Per sostenere la loro azione, nel 1889 Scalabrini la società di patronato San Raffaele. Il 5 marzo 1892 proclama protettore dei suoi Missionari San Carlo Borromeo. Intanto in missione si avverte il bisogno della presenza femminile. Il giovane sacerdote toscano Giuseppe Marchetti gli scrive: “I padri ce li abbiamo, ma le madri?”. Il 25 ottobre 1895 nella cappella dell’episcopio Scalabrini accoglie il piccolo gruppo delle prime quattro missionarie scalabriniane, fra cui la sorella del sacerdote, madre Assunta, oggi beata, prima guida della nuova congregazione. Scalabrini fin da subito vuole accompagnare il loro cammino. Nel 1901 giunge negli Stati Uniti e nel 1904 in Brasile. Muore il 1° giugno 1905 per l’aggravarsi del problema dell’idrocele. A nulla serve l’intervento chirurgico del 28 maggio. Quando riceve l’unzione dei malati, prega con convinzione: “Chiedo perdono a chi mai avessi offeso”. Papa Francesco lo ha proclamato santo per l’attualità del suo impegno tra i migranti, carisma così indispensabile in un mondo che vede migrazioni costanti: i poveri cercano il pane, è inevitabile. Che cosa occorre fare perché le relazioni tra i popoli non siano più segnate dall’ingiustizia e dal disequilibrio? Scalabrini, che più volte ha rinunciato alla porpora cardinalizia per rimanere tra il suo popolo piacentino, ha indicato una strada riportando, non senza fatiche, insieme alla Chiesa del suo tempo, i cattolici a riappropriarsi dell’impegno sociale e politico che il “non expedit” dopo la presa di Roma aveva impedito. Davanti ai problemi non rimase a guardare ma aprì strade nuove.
Da il numero speciale de Il Nuovo Giornale "Piacenza, la citta di Scalabrini" del 19 ottobre 2022