Il barcone della speranza - C. Elliot
L’autore Claudio Elliot nato a Griffith, in Australia, vive in Italia da quando ha otto anni. Attualmente risiede a Potenza, dove insegna Lettere in una scuola secondaria di primo grado. Scrive articoli su importanti riviste italiane e da qualche anno è un affermato autore di narrativa per ragazzi. Si tratta questo di un romanzo che mette in primo piano il problema attuale dell’immigrazione clandestina in Italia proveniente dall’Albania.
Trama
"Il barcone della speranza" racconta la storia di Erion, un ragazzo albanese di undici anni, che arriva clandestinamente sulle coste della Puglia.
Androkli, organizzatore dello sbarco, vorrebbe vendere Erion ed altri ragazzi ad un’organizzazione criminale, ma Erion riesce a fuggire e si rifugia nella villetta sul mare della famiglia Santoro. Androkli con i suoi complici tenta molte volte di catturare il ragazzo, ma non ci riesce. Solo l’aiuto di una coraggiosa ragazzina lo aiuterà a sbrogliare la matassa di alcune situazioni in cui si va a cacciare.
Il romanzo, intenso e avvincente, presenta una delle problematiche sociali più difficili dei nostri tempi, quella dello sbarco dei clandestini.
Il romanzo ha una trama fluida e un linguaggio veloce e semplice che non manca di avvincenti colpi di scena. Il libro di Elliott ci vuole far capire le difficoltà, la miseria e l’ingiustizia che sono costretti a vivere tanti disperati che si muovono in cerca di un futuro migliore.
L’immigrazione
E’ la tematica di grande impatto per il futuro del mondo. Nonostante la ricchezza di materie prime nei paesi del terzo mondo, moltissimi abitanti di queste terre si buttano in viaggi disperati alla ricerca di qualcosa di nuovo per la propria vita.
Arrivare in Italia per loro non è facile, ma le sue coste sono quelle più facilmente raggiungibili soprattutto ora dai paesi africani divorati da lotte fratricide.
Ho letto una toccante testimonianza di un giovane nigeriano: “Sono in viaggio da alcune settimane, i cento dollari sono finiti in poco tempo: tutti vogliono essere pagati, poliziotti, doganieri, autisti di camion e furgoni; mi hanno lasciato solo le cose che per loro non hanno valore ma che per me contano quanto tutto il petrolio della Nigeria. Il rosario con il crocifisso di legno, la piccola Bibbia che conservo in un sacchetto di plastica chiuso con il nastro adesivo; e la speranza, il sogno di raggiungere l’Italia e mandare dei soldi a mia madre”.
Le immagini che vediamo di questa gente pongono interrogativi e mettono tristezza nel cuore. Partono insieme ad un barlume di speranza, persone disperate, ammassati su carrette di mare già destinate a demolizione, accomunati verso un dubbio destino, in compagnia di un tozzo di pane duro. Hanno fiducia di trovare una terra ospitale e umanitaria. Gli hanno parlato bene dell’Italia sperano di poter incontrare persone che li possano aiutare; hanno lasciato la fame e la guerra e si affidano al sogno di trovare gente caritatevole e solidale. Persona distrutte dalla fatica e dalla sofferenza che sono però ignare di quello che le attende. Se riescono a sbarcare ecco procedure burocratiche lente e difficile da capire, luoghi di accoglienza e di sosta che sembrano più dei campi di prigionia. Non sanno che tanta persone sono ostili nei loro confronti e molte volte non incontrano quello che aspettavano da sempre. La loro terra promessa spesso si trasforma in un accumulo di delusioni e sconfitte. Essi però abituati a guerre, violenze e soprusi resistono e mantengono viva la speranza.
E’ un movimento di uomini e donne che non sui può arrestare. Anche l’Italia l’ha vissuto e tanti suoi figli sono sparsi nel mondo. Tutti sono partiti per avere un futuro migliore per il loro figli e di questo ce ne dimentichiamo con troppa facilità
Drammi e miserie che si ripetono
Penso che l’atteggiamento impietoso e chiuso che molta gente sente nei loro confronti dovrebbe essere rivisto…
Ricordo di una diciottenne nigeriana salita alla ribalta della cronaca qualche anno fa.
Si chiamava Esat Ekos ed è morta durante la traversata con il bimbo che portava in grembo. Ho letto che è rimasta per 5 giorni, come un sacco di rifiuti, sul mercantile turco Pinar mentre Italia e Malta discutevano sulla destinazione finale degli altri 144 disperati sopravvissuti. Ho nella memoria anche una brutta storia di un gommone di profughi avvenuta nel marzo del 2011, a cui ha fatto però seguito l’inchiesta dell’Unione Europea per l’Italia. L’imbarcazione, nonostante fosse stata avvicinata da mezzi militari di nazionalità ignota, venne lasciata alla deriva senza viveri con 72 eritrei a bordo. Una notizia che non ha fatto molto rumore, in fin di conto si tratta di poveracci eritrei senza molto peso nell’odierna società ….
Una “storiaccia” in cui solo 9 persone sono sopravvissute. Gli altri 63, tra cui donne e bambini, sono morti di fame e sete. L’Italia ricevette il primo sos e di solito chi riceve un appello di questo tipo si muove sollecitamente. La difesa italiana in Europa di Luigi Vitali (Pdl) si fonda sull’affermazione che il principio dell’onere di prestare soccorso per chi riceve la prima richiesta di aiuto non è vincolante e non è contenuto in alcuna norma vigente … In base a questa assenza di norme è logico allora lasciar morire questi disperati?? Mi sembra una difesa alquanto debole.
Il barcone non fu soccorso da nessuno e si arenò sulle coste libiche pieno di cadaveri… Una brutta storia che merita attenzione ...
Il libro di Elliot, adatto ai ragazzi, pone delle riflessioni che fanno riflettere anche gli adulti. Sappiamo tutti che questi sbarchi continueranno, non si può fermare la speranza di popoli che cercano un futuro migliore…