La strategia della dieta mediale

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Solitamente parliamo di dieta facendo riferimento alla necessità, vera o percepita, di limitare o eliminare il consumo di alcuni alimenti al fine di perdere peso. Come è noto, però, eliminare del tutto alcuni alimenti non è la strada giusta; piuttosto si deve imparare a mangiare un po’ di tutto, seppur nelle giuste quantità. Seguire una dieta, in fondo, significa trovare un equilibrio. Senza rischiare di banalizzare, possiamo affermare che lo stesso principio vale per la dieta mediale, termine con cui ci si riferisce all’insieme delle pratiche di consumo legate ai media, in particolar modo a quelli digitali che hanno un grande impatto sulla nostra vita e ci interrogano su quali debbano essere le modalità più corrette per metabolizzarli gradualmente. Esattamente come in campo alimentare, anche in ambito mediale non esiste una “dieta universale”, una ricetta che sia sempre valida, ma è necessario capire come arrivare ad “assumere la giusta dose di schermi” attraverso una strategia di negoziazione e condivisione. Vivendo in quella che viene definita pocket culture (Ardizzone & Rivoltella, 2008), vediamo ogni giorno come l’utilizzo delle tecnologie non sia limitato ad uno spazio o a un momento specifico, bensì è continuo, poiché le tecnologie sono, per l’appunto, tascabili. Ciò mette l’adulto nella condizione di non riuscire a monitorare i consumi dei propri ragazzi (Ardizzone & Rivoltella, 2008), né in presenza né tantomeno in sua assenza. È per questo che lo psichiatra francese Serge Tisseron (2016) parla di autoregolazione e responsabilizzazione: secondo lui, compito dell’adulto è quello di fornire ai ragazzi il necessario perché siano in grado di scegliere da soli, in maniera equilibrata, che uso fare delle tecnologie nei termini di quantità e modalità d’uso; bisogna quindi trovare dei momenti per confrontarsi e discutere con loro del consumo che quotidianamente fanno degli schermi, fino a stabilire delle regole d’uso condivise, mettendo così in atto la «pedagogia del contratto» (Meirieu, 2002), una strategia che, anziché imporre regole o divieti, costruisce i termini dell’accordo attraverso una negoziazione continua tra adulto e ragazzo allo scopo di responsabilizzare quest’ultimo. La regolazione, in pratica, diventa un’occasione per ragionare insieme. Seppur, come si diceva, non esista una ricetta universale per la dieta mediale, esiste però un modello di negoziazione a cui si può fare riferimento; si tratta di uno degli studi più noti di contrattazione del consumo mediale, ossia la Dieta di Abbadia, una ricerca condotta da Enrico Menduni nel 1996. Estrapolando dalla ricerca un modello di negoziazione applicabile anche ad altri contesti, possiamo così riassumere le azioni da intraprendere:

- apertura di un dialogo tra educatori e ragazzi volto a mappare le pratiche di consumo;

- esplicitazione di bisogni, desideri e aspettative di tutti gli attori coinvolti;

- negoziazione delle regole d’uso delle tecnologie, dei criteri con cui si valuterà il loro rispetto e delle sanzioni previste in caso di mancata adesione;

- sottoscrizione del contratto da parte di tutti gli attori coinvolti;

- monitoraggio del rispetto delle regole e avvio di momenti di discussione in cui interrogarsi sulla necessità di eliminare, modificare o aggiungere regole;

- questionario in uscita (o altri strumenti simili) per discutere con i ragazzi gli esiti della sperimentazione;

- verifica di follow up a distanza di tempo per verificare cosa sia rimasto delle regole del contratto precedentemente concordate.

Sara Lo Jacono

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