Il “crossing over” del dentro/fuori

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Parlare di identità alla luce dei concetti di dentro/fuori, non significa intendere diverse identità. L’equivoco è pensare a una identità legata alla vita reale, il “dentro”, la vita vera priva di connessione e una “fuori”, che si gioca su Internet che ha a che fare con la finzione. E’ importante sottolineare come la comunicazione mediata non sia “virtuale”: i suoi “effetti” sono reali ed occupa tempi e spazi concreti nella nostra esistenza. "Virtuale" non è infatti sinonimo di "falso”. La definizione della spazio pubblico e dello spazio privato è il primo tema che incontriamo quando la questione in gioco è l’identità ridefinita dai e con i media. Essi sono oggi portabili, implica che non solo sono sempre con noi perché agili e trasportabili, ma le situazioni con i media e senza media sono difficilmente scindibili tra loro: a tal proposito Floridi (2014) parla di vita onlife come un flusso continuo di informazioni e stimoli: distinguere tra online e offline non è più aggiornato. Il tempo lavorativo non ha oggi un confine definito dagli orari di ufficio, ma proprio grazie (o a causa) della portabilità siamo raggiungibili in ogni momento della giornata e della settimana: uno spazio pubblico come quello lavorativo, raggiunge uno spazio privato. Avviene anche il processo inverso: uno spazio privato ne raggiunge uno pubblico, non solo quando la conversazione al telefono la sente chiunque mi sia vicino, ma ogni qual volta pubblico, grazie ai media sempre connessi, una foto su un social, rendo infatti visibili aspetti privati. Habermas scriveva nel 1962 “la sfera dei privati riuniti come pubblico”; ora lo potremmo ben adattare al processo che viviamo in cui è necessario sperimentare nuovi spazi in cui pubblico e privato sono intrecciati tra loro, hanno compiuto quel processo di “crossing over” che ha ricombinato le dinamiche classiche di dentro fuori. Interessante notare come pubblicare abbia a che fare con il rendere pubblico, e dunque fruibile al popolo, un’idea o una foto personale; una pubblicazione è un saggio, un testo reso noto da una casa editrice; oggi tutti possiamo essere autori di pubblicazioni: ogniqualvolta esprimiamo il nostro profilo in un commento o in un tweet siamo autori: la nostra identità è autoriale. Se poniamo attenzione alla grafica di un social o a livello semantico alle parole ad esso collegato, ci accorgiamo di come non sia direttamente evidente che ogni aspetto pubblicato, sia effettivamente fruibile e visibile al vasto pubblico (boyd, 2014). Per Facebook si parla di “diario”, richiamando il classico diario segreto con il lucchetto, per Instagram si parla di “Stories”, richiamando la propria autobiografia personale, tutto ciò è fruito dallo smartphone (stando al rapporto 2018 del Global Digital 9 su 10 utilizzano il social su device portabile) che porta con sé l’illusione di avere a che fare con qualcosa di strettamente personale. Proprio sul tema del pubblicare aspetti di vita privata, Tisseron (2017) parla di estimità come quel processo attuale che porta ad una estroflessione, gli assi dentro/fuori ancora una volta hanno fatto “crossing over”. C’è uno scambio diretto: ciò che apparteneva a uno spazio intimo, privato, ora è portato al di fuori. Estimità e esibizionismo non sono sinonimi, non ha a che fare con un ego smisurato, ma si tratta di una risignificazione e una revisione identitaria; pubblicare concorre oggi alla costruzione identitaria dei nostri giovani e concorre a mantenere dei legami, sia quelli deboli che quelli forti. (Bauman, 2003) Non è quindi un aspetto da targare come modernista o negativo, siamo di fronte a un modo diverso che va ad aggiungersi (non a sostituirsi) alla vita offline in cui il giovane deve costruire la propria identità. Tisseron parla di “googlizzazione dell’autostima” come di una possibile deriva, l’obiettivo dell’adolescente è ottenere like, dunque ogni “mezzo” è buono pur di arrivare allo scopo. L’unità di misura per la costruzione dell’identità sono i like: se il contenuto condiviso non riceve approvazioni, si è emarginati dal gruppo, la conclusione è pensare che si vale poco, con diretta conseguenza anche nell’offline. Quale via da perseguire se non affrontare la situazione in termini educativi? Se è vero, come abbiamo visto, che l’estimità non sia di per sé negativa, è vero anche che è necessario un ragionamento prima di pubblicare una foto e lo sviluppo di questo processo è possibile se il giovane è accompagnato, così come è necessario risignificare momenti di esclusione dagli schermi; da parte dell’adulto l’obiettivo è cogliere il crossing over, accettandolo e abitandolo da buon cittadino.

Eleonora Mazzotti

Bibliografia - Tosseron S. (2016) 3-6-9-12 Diventare grandi all'epoca degli schermi digitali, La Scuola, Brescia. - Rivoltella P.C. (2010) Il volto sociale di Facebook.

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