Gesù Figlio dell'Uomo - Gibran

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Pubblicato nel 1928, cinque anni dopo il Profeta, Gesù Figlio dell’Uomo è un libro pervaso da fascino e poesia. Il fascino deriva dall’incontro con il Cristo, la poesia dalla capacità di tradurre questo carisma di Gesù in opera poetica.
La vivezza delle immagini, l’abilità nell’esprimere pensieri e sentimenti, la musicalità nello stile, le assonanze bibliche: tutto ciò fa di questo libro un’opera suggestiva e artisticamente valida.

Ritratto a più voci
Gibran ha avuto, a mio avviso, l’idea geniale, per presentare la figura del Gesù, di portare sulla scena una folla di personaggi che hanno conosciuto in modo diverso il Nazareno e interrogarli.
È un ritratto a più voci, dai toni diversi, ma complementari, a volte discordi e problematici, ma ugualmente appassionati.
Tra i personaggi interpellati compaiono: gli apostoli, quasi tutti, Maria Maddalena, Ponzio Pilato; Natanaele, Luca, Caifa, la moglie di Pilato, Anna la madre di Maria, Maria la madre di Gesù, Salomè, un pastore del Libano, un filosofo persiano, un ciabattino di Gerusalemme, un ricco, Barabba, Claudio una sentinella romana, un logico, un poeta greco, la madre di Giuda, In tutto settantanove voci, si potrebbe definire un coro polifonico fatto di persone che hanno a che fare con la storia vera e la fantasia.
È un particolare, da sottolineare, l’ultima voce quella di “un uomo che viene dal Libano, diciannove secoli dopo”. La si riconosce subito: e quella dell’autore Kahlil Gibra.

Gesù e la Maddalena
Voglio evidenziare alcuni incontri significativi con Gesù, per esempio quello con Maria Maddalena.
Essa incontra il Maestro e avverte un cambiamento radicale: ritrova se stessa, rinasce alla vita, scopre la bellezza che non appassisce:
“Perché, amico mio, io ero morta, sappilo. Ero una donna che aveva divorziato dall’anima. Vivevo separata da questo esser che ora vedi. Appartenevo a tutti gli uomini, e a nessuno. Prostituta, mi chiamavano, e donna posseduta da sette demoni. Ero maledetta, ed ero invidiata.
Ma quando i suoi occhi guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono, e io divenni Miriam, solo Miriam, una donna ormai perduta alla terra che aveva conosciuto, e che si era ritrovata in un mondo diverso”.
Gesù le rivela la realtà invisibile che è in lei e che lui ama: quella che ci costituisce persona in libertà e dignità. Restituita alla vita, la prostituta di un tempo vivrà di lui e per lui. Non potrebbe essere diversamente dopo che lo ha sentito dire: “Tutti gli uomini ti amano per loro stessi. E’ per te che io ti amo”.
Ecco un incontro che cambia la vita. Gesù la incontra con un amore vero “per te che io ti amo”.

Antitesi Gesù - Paolo
Interessante la contrapposizione, che emerge nel testo di Gibran, fra Paolo e Cristo.
Secondo l’autore chi ha falsificato Gesù è Saulo di Tarso, che dicono convertito al maestro sulla via di Damasco. Di lui scrive che “ha la testa troppo grande per avere il cuore di un autentico discepolo”
Uomo strano, questo Paolo (come si fa chiamare dopo la conversione) dalle spalle curve e dai lineamenti disarmonici. Dà l’impressione di un uomo senza libertà. Quasi di una “animale della foresta, braccato, ferito, in cerca di un antro dove celare al mondo la sua sofferenza”.
Chi lo ha ascoltato sa che non parla di Gesù né ripete le sue parole, ma predica il Messia annunziato dai profeti del tempo antico. Ma è colto, è uomo dai poteri nascosti, è capace di ammaliare. Si potrebbe dire che è un anticristo.
Gibran vuole evidenziare proprio l’antitesi Gesù – Paolo.
Gesù vuole armonizzare l’umanità con quanto la natura ha di bello e di vivo, portatore di gioia, liberatore da leggi e tradizioni passate, amante della vita, pura espressione del divino che è in noi. Invece Paolo è il suo opposto. Si serve di Gesù-Messia per compensare le proprie frustrazioni e propone il Messia annunciato dai profeti dell’antico testamento che nulla ha a che fare con Gesù “Figlio dell’Uomo”.
È lo stesso Gibran “un uomo che viene dal Libano, diciannove secoli dopo” che vede l’ombra funesta di Paolo oscurare lo splendore di Gesù.

Polemica con la Chiesa - istituzione
Qui emerge nel libro una polemica con la Chiesa istituzione, i cui adepti “vogliono rendere onore a un uomo che non conoscono”. Gli hanno innalzato templi per “dare dimora” al suo nome e su ogni altura hanno piantato la sua croce perché guidi i loro passi, ma questa guida non conduce alla gioia del Nazareno che si trova in altri cieli. Del resto, i fedeli della Chiesa-istituzione non amano la gioia, ma il dolore, vivono solitari, nel timore, anche se attorniati da parenti e conoscenti. Soprattutto sono prigionieri: “I loro riti e i loro inni, il rosario, il sacramento: tutto per il loro io prigioniero”
Ne deriva che il Gesù di Gibran è fuori da ogni chiesa, rifiuta ogni tipo di classificazione teologica, ripudia ogni imprigionamento ed è “libero come il vento e come l’empito dei nostri desideri profondi”.
Secondo il poeta libanese Gesù non bisogna cercarlo nella Chiesa o nell’Eucaristia: “E’ nel vostro anelito che troverete il Figlio dell’Uomo. L’anelito, infatti, è la sorgente dell’estasi, ed è la via al Padre”

 

Impressioni
Il Gesù che viene raccontato da Gibran lo si trova, a mio avviso, nell’uomo, nell’umanità, nella solidarietà e fratellanza.
Significativo proprio il finale del libro dove si accentua questa riflessione.
“Ma tu, Maestro, Cuore celeste, Cavaliere del sogno più bello,
tu ancora percorri questo giorno;
né archi ne lance fermeranno i tuoi passi.
Tu passi attraverso le nostre frecce,
sorridi volgendo lo sguardo su di noi,
e tu, il più giovane di tutti,
sei padre a noi tutti.
Poeta, Poeta dei cantici, Cuore grande,
possa il nostro Dio benedire il tuo nome,
e il grembo che ti ha custodito, e il seno che ti ha allattato.
E possa Dio concedere il perdono a ognuno di noi”
Una poesia ricca di vibrazioni profonde, che esalta la presenza del Maestro tra noi.
Dove c’è amore, misericordia, gioia, libertà, ansia di felicità, c’è lui:
“Maestro dei cantici, di parole mai dette”
“Maestro d’amore”
"Maestro di luce”
“Cuore celeste”
Questo è il Gesù di Gibran: ideale compimento di ogni uomo, “Figlio dell’uomo”, “che vive dentro di noi”, “immortale”, “nato da una vergine come noi siamo nati dalla terra che non ha sposo”.
E’ un Gesù che non si colloca però nella Chiesa, si ispira ai Vangeli, ma appare una santo fuori da ogni schema ed una affascinante emanazione del divino. Questa è la particolarità, per me, del libro che dà a Gesù un aspetto di novità soprattutto nella sua ricerca proprio al di fuori di ogni formalità. “Nel vostro anelito troverete il Figlio dell’Uomo…”
Ho trovato qui veramente quel “Cavaliere dal sogno più bello” che fa sperare.
Gibran vuole liberare la figura del Cristo da ogni manipolazione e soffocamento delle interpretazioni ufficiali.
Vuole far emergere il vigore, la potenza, l’insofferenza ad ogni passività, a ogni indolenza dello spirito di Gesù Figlio dell’Uomo. Vuole leggere un Vangelo senza mediazioni per trovarvi un insegnamento deciso che non è mai la sottomissione. Vuole arricchire e approfondire la statura umana di Cristo: un intento di tutto rispetto.
Un libro che ho trovato interessante e che va letto in questa prospettiva.

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