James Petras, Henry Veltmeyer: La globalizzazione smascherata. L'imperialismo nel XXI secolo

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

James Petras, Henry Veltmeyer: La globalizzazione smascherata. L'imperialismo nel XXI secolo

Il libro sulla globalizzazione di James Petras ed Henry Veltmeyer, sociologi americani molto attenti al continente latinoamericano, parla chiaro e in modo diretto svelando quello che sta dietro all’ideologia neoliberista.
Oggi il termine globalizzazione riscuote una vasta popolarità: è una parola chiave non soltanto nel dibattito teorico e politico, ma anche nel linguaggio quotidiano. Sia che se ne descrivano i diffusi fenomeni distintivi della nostra epoca, sia che se ne deduca un insieme di regole per l’agire economico e sociale.
I primi tre capitoli di questo libro esplorano le dimensioni ideologiche della «globalizzazione», mostrando il progetto di classe che vi sta dietro: il tentativo di confondere anziché descrivere accuratamente ciò che sta accadendo nel mondo, il tentativo di gettare un velo ideologico sopra gli interessi economici di una classe emergente di capitalisti transnazionali.
Interessi per i quali l’ordine economico mondiale esistente è in procinto di essere rinnovato in modo tale da creare le condizioni ottimali per il libero gioco dell’avidità, dell’interesse di classe e dell’ottenimento del profitto.
Interessi per i quali l’attuale sistema economico è dipinto come inevitabile e necessario, forza conduttrice del processo di sviluppo e precursore della futura prosperità, presentato come l’unica strada possibile.
La globalizzazione fa parte di molti ordini del giorno politici e intellettuali, e sollecita domande cruciali circa ciò che generalmente è considerata la dinamica fondamentale del nostro tempo — un insieme di cambiamenti epocali che stanno trasformando radicalmente i rapporti e le istituzioni nel XXI secolo.

Globalizzazione o imperialismo?
Secondo il testo di James Petras e Henry Veltmeyer , la globalizzazione rimanda all’ampliamento e all’approfondimento dei flussi internazionali del commercio, del capitale, della tecnologia e dell’informazione all’interno di un singolo mercato globale integrato. Con termini come «villaggio globale» si identifica sia il complesso di cambiamenti prodotti dalla dinamica dello sviluppo capitalistico, sia la diffusione di valori e pratiche culturali associati a tale sviluppo. In questo contesto si fa spesso riferimento a cambiamenti nell’organizzazione capitalistica della produzione e della società, estensioni di un processo di accumulazione del capitale finora sviluppate largamente a livello nazionale e ristrette ai confini (e ai poteri regolatori) dello stato.

In quanto prescrizione, la globalizzazione interessa la liberalizzazione dei mercati nazionali e di quello globale, nella convinzione che liberi flussi di commercio, capitale e informazione produrranno il risultato migliore per la crescita e il benessere dell’umanità.
Abitualmente il termine «globalizzazione», che sia usato per descrivere o per prescrivere, viene presentato con un significato di inevitabilità e una convinzione tali da svelarne le radici ideologiche.
Come siano interpretati gli sviluppi e i cambiamenti epocali in parte dipende da come la «globalizzazione» è concepita.
La maggior parte degli studiosi la intende come un insieme di processi basato sui modi di produzione globale, interconnessi e inscritti nelle strutture del sistema operante.
Tuttavia, altri non la concepiscono in termini strutturali, ma come il risultato di una strategia, coscienziosamente perseguita, del progetto politico di una classe capitalistica transnazionale, creato sulla base di una struttura istituzionale fondata per servire e far avanzare gli interessi di questa classe.
Nel lavoro dei sociologi americani c’è una maggiore diversificazione dell’analisi e della prospettiva teorica.
Da un lato coloro che hanno una visione della globalizzazione come un insieme di fenomeni interconnessi tendono a considerarla inevitabile, un processo cui possono, e dovranno, essere apporti i necessari aggiustamenti.
Dall’altro lato, coloro che hanno una visione della globalizzazione come progetto di classe, piuttosto che come processo inevitabile, tendono a considerare differentemente i cambiamenti che la globalizzazione comporta.
In primo luogo credono che il termine «globalizzazione» non sia sufficientemente utile a descrivere la dinamica del progetto. Ma piuttosto uno strumento ideologico usato più per prescrivere che per descrivere con serietà.
Infatti può essere contrapposto a un termine di valenza descrittiva e capacità di spiegazione considerevolmente maggiori:imperialismo.
Secondo questo concetto, la rete di istituzioni che definisce la struttura del nuovo sistema economico globale non è vista in termini strutturali, ma come intenzionale e contingente, soggetta al controllo di individui che rappresentano e cercano di far avanzare gli interessi di una nuova classe capitalistica internazionale.
Una classe formata sulla base di istituzioni che comprendono un insieme di circa 37.000 gruppi multinazionali, unità operative del capitalismo globale, portatori di capitale e di tecnologia e agenti principali del nuovo ordine imperiale. Le multinazionali non sono le uniche basi organizzative, ma a queste si aggiungono la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e le altre istituzioni finanziarie internazionali (IFI) che costituiscono la sedicente comunità finanziaria internazionale, o ciò che Barnet e Cavenagh (1994) preferiscono chiamare la rete finanziaria globale.
Inoltre, il Nuovo Ordine Mondiale ha inventato una schiera di programmi strategici globali e di tribune politiche, come il Gruppo dei Sette (G-7), il Gruppo degli otto 8 (G-8), la Trilateral Commission (Tc) e il World Economic Forum (WEF), mentre gli apparati statali delle nazioni al centro del sistema sono stati ristrutturati per rispondere efficacemente agli interessi del capitale globale.
L’insieme di queste istituzioni costituisce una parte fondamentale del nuovo imperialismo, il nuovo sistema di «governance globale».
Considerata da una prospettiva alternativa, la «globalizzazione» non è né inevitabile né necessaria. Come i progetti di sviluppo capitalistico che lo hanno preceduto — modernizzazione, industrializzazione, colonialismo e sviluppo —, il nuovo imperialismo è pieno di contraddizioni in grado di generare forze di opposizione e resistenza che possono, e a certe condizioni vogliono, minare il processo di accumulazione del capitale come pure il sistema da cui questo dipende. La recente crisi prima delle economie asiatiche ed ora quella della società occidentale ha radici profonde nella integrazione nei mercati finanziari del mondo e nella grande instabilità del capitale internazionale.

E' possibile un nuovo socialismo?
Interessante il capitolo conclusivo della "Globalizzazione smascherata" di James Petras e Henry Veltmeyer, dove gli autori forniscono una prospettiva socialista circa il progetto di globalizzazione e i disegni imperialisti dei capitalisti negli Stati Uniti e in Europa.
Viene preso a tema il modello neoliberista dello sviluppo capitalistico e, sulla soglia del nuovo millennio, il bisogno di ricostruire un’alternativa socialista.
Quindi sono brevemente passate in rassegna le possibili condizioni richieste per un progetto socialista nell’era dell’imperialismo.
Attraverso la comprensione dei suoi limiti storici e strutturali e basandosi sull’ideologia di classe, è possibile sfuggire alla tirannia del «globalismo».
Le alternative non sono utopie incorporee, «immaginate» da individui che siedono di fronte a un computer, navigando su Internet ed esplorando il cyberspazio.
Le alternative derivano dalle esperienze del passato e del presente e dalle opportunità che emergono dai fallimenti e dalle crisi del «nuovo modello economico».
La costruzione di un’alternativa socialista richiederà una lotta lunga e dura, l’azione collettiva concertata dei più diversi gruppi sociali e la mobilitazione delle loro forze di opposizione e di resistenza.
Concentrandoci sui rapporti sociali e sullo stato quali blocchi di costruzione degli imperi globali, possiamo sfuggire alla prigione del pensiero globalista ed entrare nel regno dell’azione politica e sociale.
L’inversione delle politiche degli ideologi globalisti conduce alla formulazione di una strategia alternativa, in cui la mobilitazione sociale e il potere dello stato forniscono un nuovo contenuto di classe ai trattamenti d’urto, alle riconversioni industriali e agli aggiustamenti strutturali del modello neoliberista.
Il nuovo socialismo apprende dai suoi avversari capitalisti come si fa a capovolgere la situazione, ma apprende anche dagli errori del vecchio socialismo. E più inclusivo, poiché trascina tutte le parti della società in un progetto collettivo di sviluppo economico e sociale che sia a un tempo equo e realizzabile.
Possiederà una maggiore sensibilità verso le nozioni di libertà in fabbrica e nelle fattorie.
Avrà una maggiore considerazione su quanto ne consegue in materia di integrazione tra valori personali e pratica pubblica.
Le dinamiche della globalizzazione in Asia, ex Unione Sovietica, Africa e America Latina stanno creando tremendi sacrifici, ma forniscono anche un’opportunità storica per superare il capitalismo.
Sarebbe una mancanza di coraggio di proporzioni storiche accontentarsi di qualcosa che sia meno di una nuova società socialista, della nazione nella sua interezza, di una nuova cultura di partecipanti e non di spettatori, di un nuovo internazionalismo di uguali.

Il testo di J. Petras e H. Veltmeyer sulla "Globalizzazione" è molto interessante e rivela la verità di una governance globale fondata sul potere finanziario, il nuovo imperialismo che sta dominando il mondo.
Un potere più forte delle politiche nazionali e internazionali, le quali devono sottostare ai dettami di questa finanza che sta divorando il pianeta.
L'alternativa è la mobilitazione, una lotta che parta dal basso mettendo insieme anche i più diversi gruppi sociali che vogliono però rompere con un potere esclusivamente legato al denaro e alla sua speculazione.

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