ll Folle - K. Gibran

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Per capire il significato di questo testo poetico bisogna assolutamente riproporre i versi in cui l'autore descrive il folle per entrare nella dinamica del racconto. "Mi chiedi in quale modo io sia divenuto folle.  Accadde così: un giorno, assai prima che molti dèi fossero generati, mi svegliai da un sonno profondo e mi accorsi che erano state rubate tutte le mie maschere - le sette maschere che in sette vite avevo forgiato e indossato -, e senza maschera corsi per le vie affollate gridando: "Ladri, ladri, maledetti ladri". 
Ridevano di me uomini e donne, e alcuni si precipitarono alle loro case, per paura di me. 
E quando giunsi nella piazza del mercato, un giovane dal tetto di una casa gridò: 
"È un folle". 
Volsi gli occhi in alto per guardarlo; per la prima volta il sole mi baciò il volto, il mio volto nudo. 
Il sole baciava per la prima volta il mio viso scoperto e la mia anima avvampava d'amore per il sole, e non rimpiangevo più le mie maschere. 
E come in trance gridai: "Benedetti, benedetti i ladri che hanno rubato le maschere". 
Fu così che divenni folle. 
E ho trovato nella follia la libertà e la salvezza: libertà dalla solitudine e salvezza dalla comprensione, perché quelli che ci comprendono asserviscono qualcosa in noi".

Siamo di fronte ad un'opera minore di Gibran, un libretto che si legge velocemente, questa edizione ha il testo inglese a fronte, l'ho rispolverato dalla mia biblioteca e riprendendolo in mano ho notato il suo forte messaggio.
E' una visione in cui viene presentato l'uomo, schiavo delle sue maschere che deve mettersi per affrontare l'umana società, speso corrotta.
Il libro presenta varie maschere, che non sono però espressione di falsità, di finzione, ma la maschera per Gibran è quella che ci deve difendere dagli attacchi del mondo.
Ogni maschera rappresenta uno dei sette "io":
il primo è il folle
il secondo colui che cerca un'esistenza migliore,
il terzo è quello che cade nel tormento d'amore,
il quarto è il più sventurato,
il quinto è l'io pensante e più fantasioso,
il sesto è l'io operoso e pietoso,
il settimo è l'io solitario.

Impressioni                                                                                                                                    

E' un'opera, per me, non semplice, ha bisogno di comprensione e interpretazione.
Mi è sembrata come una specie di testamento di Gibran.
Emerge in maniera un po' ossessiva il suo pessimismo, che riprende, come fosse una musica monocorde, il tema del dolore eterno, cosmico, che sempre accompagna le vicende dell'uomo.
Queste parole gridate come un folle sono però un forte grido di indipendenza, di rottura dai condizionamenti:
"Nella follia ho trovato sia libertà sia sicurezza del fatto di non essere capito, perché chi ci capisce ci rende in qualche modo schiavi".
Ho notato in queste riflessioni il desiderio di comunicare con forza e determinazione qualcosa di nuovo, come appunto un folle che parla apertamente senza nessun freno:
"Ero imprigionato nei vostri giorni e nelle vostre notti, ho cercato una strada verso giorni e notti più grandi". Si esprime, per me, in questo testo la sua poesia che racconta di una umanità dolente, ma ansiosa di vita e di libertà.
Non si può paragonarlo, però, al grande libro del "Profeta" che è stato un successo letterario in tutto il mondo, questa opera risulta, a mio avviso, un po' più complessa, ma ugualmente interessante. La poesia di Gibran è sempre ricca di similitudini e visioni che le conferiscono un suo fascino particolare, orientaleggiante.
A me fa provare sempre magiche atmosfere e rare suggestioni...

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