San Colombano; chi era veramente?

Pubblicato il da ricarolricecitocororo - il mio canto libero

Un soffio potente sceso dall’Irlanda, capace di scuotere molte cose nella Chiesa e nella società. Così il benedettino Adalbert de Vogüé, grande studioso delle origini del monachesimo, descrive la figura di San Colombano, la cui festa liturgica si celebra il 23 novembre. La fierezza e il carisma dell’abate irlandese riecheggiano ancora oggi in questa Europa disorientata e hanno attratto don Pietro Pratolongo, preside della scuola di formazione teologico-pastorale della diocesi di Massa Carrara che così ne parla:

"Penso sia veramente utile ritornare al carisma di Colombano, un santo importantissimo ma purtroppo oscurato a lungo dalla figura di S. Benedetto, altro pilastro del monachesimo medievale. Era un uomo intransigente e fiero, ascetico e colto, un poeta e uno studioso che oltre alla Bibbia portava con sé i testi di Virgilio. La sua grande intuizione fu quella di riportare la fede cristiana a chi l’aveva perduta, nei territori dell’antico impero romano devastato dalle invasioni barbariche; scelse la Gallia per iniziare la sua opera, perché in quel luogo il cristianesimo si era praticamente estinto. Nel suo lungo cammino verso l’Italia l’abate sarà artefice di una sintesi celtica e latina capace di penetrare le culture romano-barbariche, e di portarle all’incontro con il Vangelo senza cancellarle. La sua è una vicenda densa di eventi e segnata da una irrinunciabile missionarietà. Intorno al 590 ottiene il permesso di lasciare il monastero irlandese di Bangor, ma ancora non sa dove lo Spirito lo condurrà. Sbarcato in Gallia inizia la sua opera fondando a partire dal 591 tre monasteri nei Vosgi (Annegray, Luxeuil e Fontaine). Da buon irlandese, abituato alla mentalità abbaziale e non episcopale, è assai poco diplomatico e incline a farsi comandare da vescovi e nobili, e questo determinerà la sua espulsione dalla Gallia. Esiliato trova comunque il modo di riprende il cammino che lo porterà in Italia, passando per la Svizzera. Accolto con benevolenza dai Longobardi otterrà da loro un territorio nel cuore dell’Appennino dove avviare un centro di vita monastica. L’abbazia di Bobbio, fondata nel 614, diverrà un polo di cristianizzazione e di irradiazione culturale, il cui influsso si estenderà fino alla Liguria e alla Lunigiana. È stata proprio la comunione, fra i monaci e dei monaci con la gente, la vera risposta in un tempo di crisi. Se per Benedetto il monaco sta dentro al convento, per Colombano il monastero è aperto, il monaco sta dentro e fuori, e la sua prima spinta è quella missionaria.

Il monachesimo irlandese coniuga opera spirituale e sociale, promuove l’evangelizzazione e l’educazione, insegna ai contadini a coltivare, ad allevare gli animali, a bonificare la terra. La chiamata a partire, il farsi “randagio” per Cristo, non è mai vissuta in solitudine ma come comunità. Colombano stesso parte con dodici compagni per affermare un ideale di santità operosa e itinerante. Colombano è erede della latinità, e per lui l’Impero romano è ancora un ideale da ricostruire, ma in chiave cristiana. Per l’Occidente lui sarà il “monaco luminoso” il cui passaggio segnerà un tempo nuovo, la stagione dell’unità nel Vangelo che duecento anni dopo verrà consolidata dalla Riforma Carolingia e dalla Regola di S. Benedetto da Norcia. Questa attività missionaria e culturale rende certamente San Colombano un padre fondatore della futura Europa. Il suo apporto è stato rivoluzionario: pensiamo ad esempio alla penitenza, che fino a quel momento era pubblica e umiliante, e con lui si affermò come pratica privata e pedagogica. Una vera e propria cura per l’anima, capace di infondere in chi è caduto la speranza della riconciliazione e del riscatto, la riammissione ai sacramenti e il recupero della propria dignità. Questa svolta spirituale ebbe una risonanza immensa e cambiò il volto della Chiesa, divenendo la norma e giungendo fino a noi. Così i monaci hanno “ricostruito” le persone e ristabilito la relazione tra una Chiesa madre e i suoi figli.  Il suo biografo Giona di Bobbio racconta aneddoti sull’abate che fanno pensare ai fioretti di San Francesco: Colombano, così ascetico e austero, quasi spigoloso, nel bosco si accosta con stupore e delicatezza alla natura e agli animali, lascia che uno scoiattolo entri nella manica della sua tonaca, e rivela una tenerezza inaspettata. L’inflessibile e orgoglioso abate irlandese è anche l’uomo profondo e sensibile che nei suoi sermoni descrive la realtà come un’ombra e la vita come un viaggio verso l’eterno, in cui ci è dato di cogliere solo l’attimo presente.

 

 

(dal "Il Nuovo Giornale" del 19 novembre 2020)

Nelle foto la raffigurazione dedicata a San Colombano nelle Grotte Vaticane e il teologo Pietro Pratolongo

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